Brevi escursioni grafiche e tipografiche: i font calligrafici

IL CALLIGRAFICO È UN TIPO. ANZI UN TYPE.

Può piacere ma non è per forza il più figo di tutti.
Personalmente preferisco la barba di Gutenberg, ma sono gusti.

Parlo naturalmente di tipografia ed all’uso che se ne fa in comunicazione.

In ogni progetto visivo che preveda l’uso della scrittura i caratteri hanno il loro peso, da un contenuto editoriale ad uno pubblicitario, dal branding al logo design.
È giusto, ognuno ha le proprie preferenze, ma diciamocelo, quando un font va troppo di moda ci sfugge di mano e genera incontrollabili reazioni a catena di mala grafica.

Questi caratteri oramai impazzano nelle identità visive. C’è gente pronta a fare restyling del proprio brand pur di averne almeno uno all’interno del logo. Davanti all’October Moon si creano code. E non è un locale, ma un font.
I calligrafici in qualche modo ci ammaliano e ci confondono le idee. Anche quelle buone se non si sta attenti a quando utilizzarli.

LA CALLIGRAFIA È UN’ALTRA COSA.

L’arte di saper scrivere bene, di esercitare la forma. Nell’ultimo decennio ha senza dubbio riportato alla luce un importante patrimonio storico-artistico generando nuove e sperimentali forme di applicazione.
Ci sono calligrafi davvero notevoli e nuovi amanuensi digitali che realizzano opere splendide con eccezionale maestria.
Certo è che per essere un calligrafo devi quantomeno esercitare il tiro a corsivo due ore al giorno, venerare il segno e rionoscere un pennino brause da uno speedball.
L’unicità estetica, la cura precisa e proporzionata, la calibrata pressione di ogni gesto rendono questa produzione davvero stimabile.

Molte operazioni di advertising si avvalgono di collaborazioni calligrafiche che contribuiscono con valore artistico a creare idee visive di forte impatto.
Il passaggio dalla calligrafia all’uso che se ne fa in comunicazione è pieno di possibili percorsi.

 

 

Un bell’esempio Marta Lagna:ha lavorato per Valentino, Fendi, Bulgari ed ama misurarsi
con supporti ed ambienti sempre diversi, dalla carta al cinema alla street art.

 

 

 

 

 

Per rompere le regole però bisogna saperlo fare. Sempre in modo originale, personale e creativo. Dallo studio della calligrafia attraverso esercizi di lettering nascono anche fenomeni meravigliosi applicati in campo grafico.

Conoscete la designer neozelandese Sara Marshall?
Ha ideato una rielaborazione di grandi marchi in una chiave del tutto nuova.
Una proposta intelligente.

 

 

 

 

 

 

ESSERE UN CALLIGRAFICO.

Ogni  font calligrafico appartiene invece ad una famiglia di font e come tale deve garantire ripetitività. Deve essere facilmente riproducibile e saper interagire quando serve con gli altri caratteri tipografici,
come fanno tutti i font per bene. Infatti viene disegnato per un utilizzo più commerciale.

 

Lo studio creativo PeachCréme dalla Malesia offre diversi esempi
di creazione ed applicazione visiva di font calligrafici.

 

 

 

 

 

I font calligrafici  imitano ovviamente la scrittura a mano e spesso sono battezzati con nomi di persona, rimandi storici o dettagli naturali: Jane Austen, Priscilla,Lauren, Stardust Adventure, Spring time
Questi caratteri attirano la nostra attenzione con allungamenti sottili, curve morbide e nomi esotici; ci fanno girare la testa e a volte ce ne innamoriamo perdutamente, così tanto, da perdere di vista il concept del nostro lavoro.

Ci proiettano in una pellicola in costume, tra le pagine di un romanzo esotico, ci teletrasportano su un’isola deserta in cui corriamo nudi su una spiaggia bianca spruzzando profumo tra foglie di palma e a volte cadiamo in un vorticoso effetto telenovela che finisce per tenerci incollati allo schermo a cercare ghirigori.
Ne esistono così tante varianti che si fa fatica oramai anche a differenziarli dai corsivi informali e dagli handwriting che hanno caratteristiche diverse ma spesso si fanno chiamare calligrafici pur di essere caricati nelle library.

CERTI FONT CREANO DIPENDENZA.

Ti accorgi che ne sei assuefatto quando per il biglietto da visita dell’idraulico scegli di usare l’Athena of the Ocean. O peggio, L’Aqua de Jamaica. Sono nomi veri di font, ve l’ho detto che fanno così!
Nel bene e nel male gli utilizzi più comuni sono principalmente legati ad un’esigenza di comunicazione sofisticata, ricercata, elegante, o decorativa. Si usano nelle wedding stationary, negli inviti ad eventi, nelle cards augurali o di ringraziamento. In certi titoli evocativi, headline leziose,  in tante proposte di packaging e logotipi.
Forse troppe proposte.

Scorrevoli e raccordati, sono capaci di restare sospesi e questa loro leggerezza aiuta a riempire lo spazio dandoci la percezione di aver arricchito la comunicazione.
Ecco forse perché se ne fa un uso eccessivo. Spesso si utilizzano per creare un linguaggio visivo prezioso, soave, unico, quasi firmato. Ma non cediamo a quelle che ci appaiono come scorciatoie visive e che sono invece l’evoluzione creativa di lunghi percorsi.
Forse nell’immaginario collettivo si è creata una sovrapposizione tra questo genere di scelta tipografica ed il senso di unicità ed appartenenza a cui ogni brand aspira, per piccolo che sia.

Insomma, la tipografia è piena di bei font. Basta conoscerli, riconoscerli e trovare quello più adatto a noi.

E chissà se ne avvisteremo uno nella prossima escursione.

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By Marianna Giulianelli

Creativa pubblicitaria. Art director naif e graphic designer a tempo di mouse. Nella mia vita professionale posso dire di aver mangiato sofficini con Carletto, comunicato la nascita del Maxxi e so riconoscere un marchio automobilistico con la sola imposizione delle guidelines. Ho il super potere delle visioni creative. Mi piace progettare e fare ricerca prima di realizzare. Cerco di pensare in più grande per le attività più piccole e il mio brief preferito sono le persone. Aiuto le attività a comporre una propria comunicazione visiva perché il personal branding sia davvero personal. Adoro la fotografia, le scuse fantastiche dei bambini, lo storytelling degli anziani che un pò ricordano e molto inventano. Amante dei luoghi, soprattutto dei sentimenti. Come collHUBBER offro micro consulenze di visual identity.

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